L’uscita di The Artist ci ha ricordato che tempo fa, molto tempo fa, il cinema non aveva bisogno di troppe parole per suscitare emozioni. A ben vedere, oggi gli script sono spesso farraginosi e assurdi, migliaia di parole vomitate addosso al pubblico, e non è un caso che alcuni tra i film più convincenti degli ultimi tempi (Melancholia e The Tree of Life, per citarne un paio) abbiano lunghe pause dedicate alla musica e al silenzio. Players sale sulla DeLorean e torna indietro di quasi un secolo per raccontare quali sono stati i blockbuster senza parole ma con tante idee che hanno cambiato la storia della settima arte…
The General (1926) di Buster Keaton
In italiano Come vinsi la guerra, The General è l’ultimo e forse più celebre film diretto e interpretato da Buster Keaton e da molti considerato la migliore pellicola muta mai girata. Sempre in bilico tra azione, avventura e comicità slapstick, il film racconta la storia del coraggioso macchinista Johnny Gray che, dopo avere tentato invano di essere arruolato nell’esercito sudista per fare colpo sulla ragazza di cui è innamorato, si trova suo malgrado coinvolto nel conflitto secessionista. Se pensavate che Unstoppable fosse un atipico film action coi treni, sappiate che Keaton ci aveva già pensato ottant’anni fa, con risultati migliori. Ritmo perfetto, sequenze di incredibile complessità (e perfettamente credibili ancora oggi, come quella dell’esplosione del ponte o quella dell’inseguimento fra i treni), una maniacale ricostruzione storica, gag ancora fresche e divertenti e quell’aura di malinconia e disincanto che avvolge ogni opera del più triste tra gli autori comici dell’epoca.
Metropolis (1927) di Fritz Lang
Molti della nostra generazione l’hanno conosciuto a metà degli anni ottanta, quando i cinefili Queen ne utilizzarono alcune sequenze per l’altrettanto immortale hit Radio Gaga, ma Metropolis già da mezzo secolo affascinava e atterriva il pubblico. Un kolossal sci-fi di matrice orwelliana che parla di temi oggi ancora attuali: il conflitto tra classi diverse, la disumanizzazione del lavoro e delle megalopoli, cattedrali di vetro e cemento, il fascino del dispotismo e della dittatura, l’amore come unica fonte di gioia e possibile risoluzione dei problemi. Affascinante l’approccio alla tecnologia che, nata per distruggere (il tiranno affida a uno scienziato la costruzione di un androide femmina che deve sorvegliare gli operai), si rivela foriera di pace e stabilità. Metropolis è l’ultimo esempio del cinema espressionista tedesco che con l’arrivo del sonoro scomparirà dagli schermi. Impressionanti le idee futuribili presenti nel film, poi concretizzatesi quasi ottant’anni dopo, dal “cellulare” agli arti bionici.
Nosferatu (1922) di F.W. Murnau
La storia dei vampiri al cinema comincia qui. Curiosamente, è una storia che avrebbe potuto essere procrastinata a lungo: Murnau non aveva pagato i diritti per mettere in scena la storia narrata da Bram Stoker (infatti i nomi sono cambiati e Dracula diventa Orlock) e la vedova dello scrittore aveva vinto una causa che imponeva la completa distruzione del film. Eppure, come in una favola a lieto fine o un film con annesso colpo di scena, una copia sopravvisse e così ancora oggi possiamo apprezzare la terrorizzante interpretazione di Max Schreck (che la leggenda vuole fosse anch’esso un vampiro) e la regia sobria e originale di Murnau, che sceglie spazi aperti come sfondo di molte sequenze e opta per un minimalismo che avrebbe caratterizzato molte delle pellicole dell’espressionismo tedesco, genere sovrano ai quei tempi. Tra psicanalisi e metafore, la storia si dipana lentamente, avvolgendo lo spettatore in un’atmosfera cupa e pessimistica.
The Cabinet of Dr. Caligari (1920) di Robert Wiene
Film o trattato di psicoanalisi? La domanda è lecita quando si parla del manifesto dell’espressionismo, corrente nota soprattutto per i suoi exploit pittorici e teatrali, ma di fondamentale importanza anche nella settima arte. Il dottor Caligari del titolo è uno stregone (o scienziato?) che appare a una fiera in una piccola città tedesca: il suo talento sta nella capacità di impartire ordini a un mostruoso essere sonnambulo e dotato del dono della preveggenza, Cesare, che esegue ogni sua volontà, crimini compresi. La storia viene raccontata al pubblico dal giovane ed ingenuo Francis, ma il finale, con un colpo di scena memorabile, ribalta la prospettiva della storia e i ruoli di vittime e carnefici. Wiene trasforma i set in quadri, fa creare al gruppo Der Sturm scenografie essenziali, lugubri, appuntite e prive di prospettiva che paiono uscite dal peggiore degli incubi, fa muovere gli attori in un’atmosfera magica, gotica e terrorizzante.
Greed (1924) di Erich von Stroheim
Siamo ancora nel pieno di una crisi economica mondiale, causata dall’avidità di pochi. Nel 1924 Erich von Stroheim, pochi anni prima della Grande Depressione, dipinge un quadro dell’umanità a tinte fosche, non troppo dissimile da quello che forse porterebbe in scena oggi. Greed è un film maledetto, in ogni senso: tratto dal romanzo McTeague di Frank Norris, la sua durata originaria era di quasi nove ore e il regista aveva impiegato sei mesi per realizzarlo. Nelle sale andò, con esiti disastrosi, una versione mutilata. In Greed l’uomo è messo a nudo con tutti i suoi difetti come mai era capitato prima nel cinema americano: la storia di McTeague, che elimina la moglie, impazzita dopo una vincita alla lotteria, fugge nel deserto della Death Valley col malloppo e muore ammanettato al cadavere dell’amico che voleva sottrargli il denaro, è la storia di tutti gli avidi e avari della Terra. I soldi rovinano il mondo e nei cuori dei personaggi del film vincono sempre la cattiveria e l’egoismo.
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